di Silvia Avallone
Rizzoli editore
“Da dove la vita è perfetta” di Silvia Avallone è una storia che parte da oggi, passando da ieri, per ritornare al presente: con lo sguardo dell’Autrice rivolto ad uno spaccato di vita cittadina di povertà ai limiti dell’indigenza, con aspetti che scorrono fra la superficialità di vita e la delinquenza, fra una pochezza morale e una povertà dell’essere: all’interno di una “geografia dell’esclusione“ l’Autrice ha ricamato con arte, armonia e introspettività ben tre storie d’amore (Adele e Manuel, Dora e Fabio, Adele e Zeno), con percorsi e risvolti molto differenti fra loro.
La Avallone in questo libro sfaccetta con grande attenzione il concetto della genitorialità, osservandolo da più punti di vista.
Una ragazza non ancora maggiorenne che resta incinta (Adele) di un piccolo delinquente (Manuel), dal quale è stata abbandonata prima concettualmente più che fisicamente, accentua ancor di più in concetto di famiglia sgretolata prima ancora di esistere, oltre che per la sua stessa storia personale (abbandonata con la madre e la sorella minore dal proprio padre) tale da potere affermare che “i padri non esistono” e di decidere di non volere riconoscere la bimba (Bianca) che metterà a mondo. Una coppia sterile (Dora e Fabio) e che intraprende la strada dell’adozione, scorrendo attraverso contrasti, talvolta scontri, delusioni e infine approdando all’assegnazione del sospirato figlio [Fabio: …possiamo anche vivere senza figli… – Tu forse, io mai… Dora].
Zeno, ragazzo costantemente deluso da tutto, ricostruisce con Adele una storia d’amore laddove lei stessa ne avverte la mancanza, proprio lungo la gravidanza, durante la quale lei rimugina fino in fondo che l’unica via per dare un futuro alla nascitura sarebbe proprio quello di consegnarla, non riconoscendola, per un futuro affido. Ma in loro, “senza storia e senza memoria”, iniziando a vivere “solo il presente, che era presente e quindi vivo”, si risveglia il sentimento genitoriale, soprattutto ad opera di Zeno, tale che Adele pochi giorni dopo avere partorito si fionda con Zeno di nuovo in ospedale cercando la bimba Bianca.
L’assenza del ruolo-guida delle famiglie nella crescita-formazione dei figli (tema di grande attualità), emerge un po’ fra le storie di tutti i giovani personaggi del romanzo (Manuel in primis): ma l’Autrice, attenta scandagliatrice dei sentimenti, si mette in cerca talvolta anche “della frazione infinitesimale non ancora rovinata” di questi ragazzi, pur evidenziandone la povertà morale e intellettuale di cui essi erano circondati. La loro vita scorre “come il fiume al mare”, spesso come barca senza timoniere.
“Sedersi a maggio sotto i rami bianchi di un betulla su una panchina e osservare da là, da dove la vita è perfetta”: con questo schizzo, quasi un piccolo dipinto, l’Autrice traccia un’immagine dell’illusione/disillusione dei ragazzi di quel quartiere di Bologna.
La Avallone ancora una volta, come già nei suoi due precedenti romanzi (“Acciaio” e “Marina Bellezza”), ripresenta in questo suo terzo la sua grande profondità di osservazione introspettiva, di conoscenza sociale e di attenzione per gli “ultimi”, con alta qualità descrittiva e scorrevolezza nello stile: facendolo assurgere ad un elevato livello letterario e inserendosi così nel settore degli “scrittori per il sociale”.